La riconversione green delle aziende italiane
La riduzione dell’impatto ambientale che qualsiasi tipo di produzione o attività industriale esercita non è più da tempo soltanto materia di dibattito tra gli attivisti e i politici con la mediazione delle imprese. La sensibilizzazione crescente dell’opinione pubblica su un tema così scottante ha fatto sì che le stesse imprese sviluppassero delle strategie mirate che, se per certi versi possono sembrare ammantate di “marketing”, esprimono comunque una certa consapevolezza di quanto sia cogente l’emengenza ambientale.
Come abbiamo detto, i consumatori hanno maturato una nuova sensibilità, e sanno che è necessario ridurre gli sprechi di materie prime e contenere le emissioni di CO2; dai sondaggi di opinione risulta evidente che se un’azienda non si adegua corre il serio rischio di essere messa ai margini del mercato in favore di concorrenti più virtuosi e “green”. Esistono, come era prevedibile attendersi, alcuni operatori di mercato che stanno effettuando quasi controvoglia ed obtorto collo operazioni di conversione degli impianti e di studio su un più conveniente approvvigionamento di materie prime, ma sono coinvolte anche questioni quali il contenimento e la minimizzazione degli imballaggi e persino l’accorciamento della filiera.
La minaccia più forte, in questi casi, proviene non tanto dai consumatori quanto da attori molto più potenti sullo scacchiere come i colossi della grande distribuzione, capaci di una maggiore forza decisionale e di battenti campagne ambientaliste a tutelare in prima battuta soprattutto il comparto alimentare. Il timore che qualcosa “faccia male” alla salute non è tollerato, il consumatore risponde in maniera concreta a queste istanze e sollecitazioni, e basta ricordare gli echi delle lotte contro gli OGM o contro l’olio di palma per capire quanto sia labile il confine tra un’azienda “eticamente” accettata e una messa al bando.
Esiste tuttavia anche un ristretto circuito di aziende sinceramente coinvolte e sensibili, e che al di là del pressing messo in atto da consumatori, GDO e concorrenza hanno spontaneamente messo in atto interventi di conversione e riqualificazione del processo produttivo, credendo fermamente nella necessità di tecnologie di produzione più moderne e di modalità di approvvigionamento più verdi, all’inseguimento di una spinta idealista volta comunque a ottenere un ritorno di immagine e ad unire così il profitto alla soddisfazione di sviluppare un sistema più sostenibile.
Le direttive delle istituzioni
Non si può negare però che oltre alle spinte interne al mercato appena elencate, ne esista una proveniente dall’esterno e che ha acquisito un ruolo più determinante: ci riferiamo alle istituzioni ed alla politica in genere, visto che in molti paesi è in atto un “green new deal” del quale la recente direttiva dell’Unione Europea sull’abolizione della plastica usa e getta non è che un esempio.
Operazioni come questa spingono alla riconversione dell’economia e dell’industria verso modelli più sostenibili senza per questo penalizzare le imprese, le quali possono invece sfruttare tale occasione per incrementare il proprio sviluppo tecnologico e anche per generare nuova occupazione, crescendo sotto ogni punto di vista; accanto a loro, dal momento che le competenze necessarie riguardano dei settori ad alta specializzazione su materie come chimica o fisica, si schierano le migliori facoltà scientifiche.
Operando in sinergia con queste realtà, le aziende riescono ad orientarsi verso il cambiamento trasformando i processi produttivi e rendendoli più efficienti, recuperando materie prime da fonti a loro volta energeticamente più sostenibili, ed il tutto senza compromettere la qualità dei propri prodotti.
La sensibilità dei consumatori è diventata un parametro che nessuna impresa può sottovalutare in quanto scrollarsi di dosso la scomoda etichetta di “inquinatore” porta a vantaggi innegabili anche in termini di fatturato. Produrre ad emissioni di CO2 totalmente azzerate è come ovvio impossibile, ma molto si può fare per far calare tali emissioni. Il resto lo si può compensare, ed anche in questo caso con un indubbio ritorno di immagine, finanziando associazioni che si prendono cura della riforestazione a livello globale, in un gioco compensativo che fa bene al pianeta ma che permette alle imprese di guadagnare consensi e clienti.